100 anni Made in Italy, buon compleanno Moto Guzzi

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Oggi c’è un centenario da festeggiare. Moto Guzzi spegne una torta con candeline a tre cifre, tante per un’azienda che produce moto, in Italia per giunta.

La Moto Guzzi è legata a doppio filo con la storia della rinascita del nostro Paese, come la Piaggio, ha rimesso letteralmente in moto l’Italia dopo la seconda Guerra Mondiale. Crescita economica insieme a passione, corse e ricerca tecnica, negli anni ruggenti quando si sperimentava, si provava, ci si buttava con una santa inconsapevolezza che portava meraviglie.

La storia di questo marchio passa per alcune persone geniali. Si tratta di Emanuele Vittorio Parodi che durante la Prima Guerra Mondiale, conobbe Carlo Guzzi, un meccanico con la passione per le moto e le corse. Come sempre accade nelle belle storie di motori è la passione che accese la miccia, dunque i due, insieme al pilota di aerei Gianni Ravelli, si concentrano sulla costruzione di moto per le competizioni. Proprio dall’amicizia con Ravelli, nacque lo storico marchio dell’aquila che tutti nel mondo associano alle moto italiane. Ravelli precipitò mentre collaudava un aereo e la sua morte spinse Parodi e Guzzi ad adottare il marchio con l’aquila ad ali spiegate per la Società Anonima Moto Guzzi, che attenzione, non nacque lombarda, ma ligure con sede a Genova.

Solo successivamente la Guzzi si spostò a Mandello Tozanico, più tardi ribattezzata del Lario, dove quest’anno nello storico stabilimento si celebrerà il centenario della fondazione dal 6 al 12 settembre prossimo.

Pensando a questa storia, credo ci sia molto da celebrare di questi tempi. La Guzzi è passata dalla passione dei fondatori, alle tante crisi aziendali dalle quali in un modo o nell’altro la marca è uscita, ci sono i successi commerciali e quelli sportivi.

Guzzi non è più nelle corse in modo ufficiale dal 1957 quando con Gilera firmò un “patto di astensione alle gare” dal quale non è più tornata indietro, ma ha fatto storia fino a quando messo le ruote in pista con 3.234 vittorie in gare ufficiali, 14 titoli mondiali e 11 vittorie al Tourist Trophy. Oggi non rinuncia però a organizzare un monomarca decisamente divertente con le V7.

Le innovazioni di Guzzi, provate nelle piste, hanno fatto la storia della meccanica motociclistica. La storica 500 a “siluro”, sviluppata nella galleria del vento dello stabilimento di Mandello del Lario, appositamente costruita per consentire alle moto con l’aquila di battere i record di velocità, aveva un sofisticato motore a 8 cilindri a V, una vera e propria opera di orologeria meccanica, dal rombo inconfondibile. L’era delle corse è stata quella delle grandi intuizioni e dello sviluppo estremo della meccanica. Come detto, a contribuire fu la galleria del vento, ma molto venne anche dalle esperienze fatte durante la guerra, quando Moto Guzzi, si specializzò nella produzione di moto militari, la cui caratteristica era quella dell’affidabilità.

Tanta ricerca, unita alle esperienze estreme delle corse portò, per la prima volta al mondo, a usare il riporto cromato nei cilindri, cosa scontata nei motori moderni, ma vera e propria rivoluzione nel 1958, quando Moto Guzzi presentò il modello Zigolo, che adottava questa innovazione.

Guzzi è stata culla della tecnologia e marca sfortunata, nella sua storia. Passata nel 1967 nelle mani della Seimm, Società Esercizi Industrie Moto Meccaniche, a causa della crisi del mercato motociclistico per la diffusione delle auto a basso costo a scapito delle due ruote, che nel primo dopo guerra avevano motorizzato l’Italia. Guzzi all’epoca aveva fatto la sua fortuna commerciale con le Falcone 500, lo scooter “ante litteram” Galletto e la maneggevole Airone 250 e con il motofurgone Ercole. Ma nel 1973 le esigenze degli italiani erano altre e Guzzi non ebbe pace fino all’arrivo di Alejandro De Tomaso, l’imprenditore argentino che mise nella sua galassia anche la Maserati, prese un’azienda che usciva da una grande crisi, ma in grado comunque di mettere sul mercato la V7, opera dell’ingegner Lino Tonti che ideò una moto essenziale: telaio, motore e serbatoio, in grado di spingersi fino a 200 km/h, un vero missile per l’epoca. La V7 del 1971 fu una moto ambita, ovunque. Fu questa la base delle moto di De Tomaso, che fece però l’errore di mischiare l’anima bicilindrica a V – motore progettato dall’ingegner Carcano – della casa di Mandello del Lario con quella più sportiva di Benelli, nel 1988 alla voglia di voler per forza scimmiottare i giapponesi della Honda con una gamma di quattro cilindri in linea che non era all’altezza per affidabilità e materiali agli originali.

L’era De Tomaso è comunque costellata di modelli iconici bicilindrici, come quello della California nel 1974 destinata al mondo cruiser americano e le sportive Imola, Le Mans, Daytona e Centauro. Il V2 di Guzzi, che ancora oggi è l’emblema costruttivo e caratteriale delle moto di Mandello, ha resistito nel tempo, passando attraverso le crisi economiche e aziendali.

Dopo essere passata anche nelle mani di Ivano Beggio, l’industriale veneto patron di Aprilia nel 2000, dopo soli 4 anni passa nelle mani di Roberto Colaninno, quando questi con la Piaggio acquisì i marchi Aprilia, Moto Guzzi e Laverda. Da questo momento Guzzi ha iniziato un nuovo corso, più pragmatico, fatto di innovazioni ma non di rivoluzioni con al centro sempre il motore bicilindrico a V.

Come accade anche nel mondo dell’auto con le instant classic (vedi Mini e 500 per fare un esempio), Guzzi ora deve il suo successo commerciale all’odierna V7, una raffinata 850cc con iniezione elettronica, motore euro5 e trasmissione cardanica, dal look classico ma dal comportamento moderno che assieme alla V85 e alla V9 è disponibile anche nella livrea centenario che adotta, nei fianchetti il classico verde da corsa delle storiche moto da corsa Guzzi, una memoria italiana che è ancora presente e riconosciuta in tutto il mondo dall’America all’Australia e che sì, può ancora mettere il tricolore sotto il marchio, perché è davvero Made in Italy.

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