La tendenza fuori controllo dei piloti superstar

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Non conosco nello specifico il mondo della Formula 1, ma conosco abbastanza bene i paddock dei mondiali MotoGP e Superbike per essermi fatto un’idea sommaria e magari distorta da quello che è il mio lavoro, sui piloti. 

“Strana gente” diceva Enzo Ferrari, “magnifici pazzi” dico io. Esseri umani che a spregio dell’istinto di conservazione si buttano in pista con altre decine di individui come loro e spingono un mezzo meccanico dall’equilibrio instabile fino al limite e oltre. Sono certamente degli esseri superiori per alcune cose: coraggio, incoscienza, sensibilità tecnica e tenacia. Dicendo questo do l’onore al merito ai piloti, alcuni miei cari amici, ma non posso non registrare la crescente tendenza dei “più bravi” e “più vittoriosi” nel trasfigurarsi in superstar. 

La tendenza è iniziata molto tempo fa. Il primo personaggio del mondo racing a due ruote fu Giacomo Agostini. Supercampione galattico con 15 titoli mondiali, con incursioni nel mondo del cinema e in quello dei fotoromanzi. Giacomino ai suoi tempi spaccava, era bello, vinceva quindi tutti lo volevano e lo tiravano in ballo e meno male che non c’era la televisione di oggi.

Poi arrivarono gli americani, Kenny Roberts e Freddie Spencer erano personaggi a modo loro, ma con Eddie Lawson in particolare iniziarono i capricci da star. Il momento era anche propizio, c’erano di brutto i soldi dei tabaccai quindi Eddie si faceva volentieri gli affari suoi nel paddock e si concedeva poco per eventi e altre necessità.

Facendo nomi random – ricordando che non sono qui a puntare il dito verso nessuno, ma solo descrivendo una situazione evidente – sotto il punto di vista della capricciosità come non ricordare John Kocinski, il quale forse mascherava il suo carattere particolare con richieste stravaganti ai team nei quali correva, fino ad arrivare ai nostri Max Biaggi, Valentino Rossi (in alto mentre gioca al “suo” videogioco con Carmelo Ezpeleta), Andrea Iannone, e poi Casey Stoner e i moderni Jorge Lorenzo, Marc Marquez inseguiti dai newcomer come Maverick Vinales e via discorrendo. 

Attenzione, chi genera un gran movimento di denaro ha anche il diritto di avere qualche attenzione in più, è chiaro, ma ultimamente siamo al paradosso che nessuno più riesce a gestire. I piloti superstar che sono ormai fuori controllo.

Quello che dobbiamo tutti ricordare, dagli appassionati agli addetti ai lavori è che il pilota fa parte di una squadra. E’ un ingranaggio, importante, brillante e in vista, ma pur sempre un elemento di un meccanismo più grande che funziona anche grazie a lui e non solo perché c’è lui. Serve il meccanico, serve il telemetrista, serve l’autista, serve chi cerca le sponsorizzazioni (che dipendono anche dai risultati del pilota, ma che non arriverebbero mai da sole bussando alla porta del camion, per inciso), serve chi pianifica i viaggi e serve persino, udite udite, chi scrive i comunicati.

Da qualche anno a questa parte i piloti superstar hanno preso il sopravvento. Seguiti personali, addetti stampa personali e necessità personali che poco hanno a che fare con lo spirito di squadra. Non solo i piloti superstar possono a volte condizionare l’andamento di campionati, dentro e fuori le piste, o persino i destini degli sponsor (vedi fine stagione 2015), per non parlare dei nervosismi e delle dietrologie complottistico-inciucistiche che riescono a innescare nel paddock dalle classe minori in su.

Di chi è la colpa – per qualcuno il merito – di questa surreale situazione? Del paddock stesso e degli addetti ai lavori. Si è perso di vista il ruolo del pilota – pure bravo o bravissimo – che è quello di dare il suo contributo in sella e di rappresentare gli sponsor nel modo più consono, e si pure quello di essere un personaggio, ma inteso come rappresentante di una squadra e portatore dei valori positivi dello sport.

Ma noi abbiamo voluto (mi ci metto pure io…) cercato e a volte creato a tavolino solo i super personaggi e ci siamo dimenticati il resto. Il pilota personaggio monopolista e accentratore a lungo termine può essere una iattura, al punto da diffondere il pensiero malato che non ci potrebbe essere motociclismo o gare, senza questo o quello presente. Ma avete mai visto chiudere un campionato dopo il ritiro di qualcuno? Io no.

Il problema è che la necessità di appagare i superpiloti ha reso miope l’ambiente. Ho sentito in diverse riunioni in passato che X o Y se non hanno quello che vogliono poi vanno lamentarsi con chi comanda e sono dolori, quindi testa giù e accontentiamolo, che è meglio. Sbagliato.

I dolori dovrebbero essere inversi, perché sì, se tu sei un superpilota non sarai mai così super se non hai dietro un supersistema che ti valorizza e una supersquadra che ti supporta.

Arrigo Sacchi, storico allenatore del mondo del calcio diceva sempre ai suoi ragazzi che ci vuole più umiltà (umiltè, per la sua pronuncia romagnola)… Ce la faremo?

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. Willoz ha detto:

    Bell’articolo! Peccato che l’ho trovato in una pagina Facebook che fa proprio questo gioco di fomentare le masse contro qualcuno a discapito del giudizio tecnico.

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