Rischio di essere impopolare, cinico e bastardo, ma c’è poco da fare, le moto giapponesi sono meglio. Meglio e basta. Forse non hanno l’anima, ma cos’è st’anima per le moto?
C’è chi dice che le moto per avere un’anima devono darti dei problemi. Cheee? Non esiste proprio! La comprereste una moto che nel più bello del viaggio vi lascia per strada per la sua anima? Non credo.
Qualcun altro dice che l’anima è nel rumore. Eccerto… allora la MotoGP è un girone dantesco di anime dannate da scarichi aperti che si inseguono senza soluzione di continuità.
Altri dicono che l’anima la fa il marchio. Bene, allora anche la Coca Cola ha un’anima, magari frizzante e digestiva.
Anima o no, le moto non sono tutte uguali. Per me se hanno due ruote sono tutte belle, ma con dei ma. Iniziamo con il dire che da utente di moto ne ho avute tante, di proprietà tante giapponesi, quattro BMW e due Aprilia. Se ripenso alle mie moto capisco perché solo due moto italiane.
La prima Aprilia era anche la mia prima moto con la targa (quadrata). Si trattava di una Europa, naked 125 dall’aspetto tranquillo (per mia madre) ma dalla sostanza racing, dato che derivava dalla AF1 Sintesi. Dopo qualche anno gli alibi sono caduti e l’Europa cambia in AF1 e dal giubotto di pelle sono passato alla tuta.
Poi sono cresciuto, le moto sono diventate anche e soprattutto mezzo di trasporto e poi di viaggio. Le che si sono succedute sono state tante e diverse, ma ricordo sempre con affetto per lo più moto giapponesi. La Honda Hornet 600 fu quella con la quale arrivai per la prima volta molto al di la del primo giro fuori porta. In un impeto di pazzia caricai la fidanzata dell’epoca (dando i bagagli a mio cugino che partiva in macchina) e andammo in Calabria. La Hornet fu anche mia compagna di lavoro, quando ero a Nuvolari, finì più diuna volta in video…
Un altra bella sella era quella della Kawasaki ZXR900 Ninja. Una verdona da oltre 150 cavalli comoda come una sport tourer e ignorante come una supersport. Le impennate erano all’ordine del cambio marcia. Bellissima, come conferma anche Mario, il mio amico che l’ha avuta dopo di me.
Preso dal sacro fuoco del viaggio comprai una Fazer 1000. Motore dell’R1 a carburatori, telaio in acciaio e manubrio largo. Tanti cavalli ma poco serbatoio. Con tre valigie givi e un coraggio grosso così, la Yamaha quando era nuova nuova s’è fatta senza un colpo di tosse 5000 km dall’Italia fino in Portogallo, poi in Spagna.
Prima però venne una CBR900RR. Un amico la soprannominò “er vipera”. Cattiva, scomoda ma anche questa instancabile. Anche alla veneranda età di 15 anni s’è fatta una giornata in pista a Vallelunga. Problemi 0.
Le BMW sono belle, fatte per farti sentire orgoglioso di possederle. Ti fanno venire voglia di viaggiare, tutte. Ma il rapporto conflittuale in questo caso non è con le moto, che sono comode e affidabili alla tedesca. Il problema è l’assistenza. No, aspetta, spiego. Nel senso che quando la moto entra in assistenza sei un cliente BMW, di quelli con la serie 7 però. Il costo della mano d’opera è da Bentley e i ricambi sembra li facciano apposta per te e di corsa… Poi con una mucca ti viene la paranoia del tagliando. “L’ho fatto, oddio non mi ricordo! Oh noooo lo dovevo fare 45 km fa adesso non me l’accettano più se la voglio permutare!!! Nooooo”. Ecco intendevo questa paranoia.
Su tutte però c’è lei. Rossa e ormai altera vecchia arzilla, il VFR 750 del 1987 guarda ancora qualche giovanotte dall’alto in basso. A 27 anni suonati ha bisogno di qualche attenzione in più, ma si tratta di dettagli. In viaggio dopo 9 anni di stop ha richiesto un kit catena corona pignone nuova strada facendo. Il suo motore a 77 mila km non ha nessun vizio se non quello storico di essere golosa di carburante. L’olio se lo metti li rimane.
Insomma, questo excursus per dire cosa? Che le moto per essere ricordate, ma con il sorriso e non con le madonne, devono funzionare e questo tipo di prodotti, loro, i giappi li sanno fare – magari freddamente, magari senza anima – bene. Gli stessi che ho visto a Motegi, nel museo della Honda, la Collection Hall. La foto che c’è sopra a queste righe raffigura i tecnici della HRC degli anni 50.
Guardatela quella foto, bene. Sono uomini determinati a fare qualcosa se non perfetto, che ci si avvicini. Una ricerca di perfezione e di miglioramento che si riflette in ogni ambito, dalla consegna delle moto ai ricambi.
Non capite di cosa sto parlando, guardate il video qui sotto.
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