Il sogno (infranto) chiamato Derbi

il

Di Roberto Pagnanini

Ci sono cose che ci credi o non ci credi ed alle quali puoi dare il nome che vuoi, uno a scelta tra  coincidenza, destino oppure fato. La vita ti ci mette davanti, che tu voglia o no.

E’ notizia di questi giorni che parte della storica fabbrica della Derbi a Martorelles è stata demolita per far posto ad un parcheggio per camion; anche questo è frutto del destino o, per lo meno, era scritto già nel suo esattamente come lei, la Derbi, lo era nel mio.

Nel 1984 a Barcellona, Martorelles è giusto alla sua periferia, ci finii grazie alla gita scolastica di fine anno dopo ben ventiquattro ore di pullman, quelle necessarie per raggiungerla partendo da Terni; ventiquattro ore, le stesse che dividevano me ed i miei compagni di classe dalla capitale catalana e, soprattutto, da una settimana che sarebbe poi rimasta impressa nelle nostre menti per tutta la vita.

Già allora le mie passioni erano rappresentate dalle moto, dalle corse e da tutto quello che ci girava intorno e la Derbi, che letteralmente è l’acronimo di DERivado de BIcicletas, era un punto di riferimento nel mondo delle competizioni. La casa spagnola, catalana per meglio dire, fondata nel 1922 da Simeon Rabasa, dopo la guerra civile contribuì in maniera determinante a cambiare il concetto di mobilità di moltissime persone, il tutto trasformando appunto delle biciclette in primordiali ciclomotori e poi, successivamente negli anni, costruendo modelli di moto sempre più grandi con i quali si ritagliò lo status di vera e propria icona sia in patria che fuori dai confini nazionali; non è una esagerazione dire che rappresentò l’essenza stessa dell’orgoglio iberico su due ruote e non. La sua immagine era legata all’affidabilità, al fatto che in ogni piccolissimo paese trovavi chi ti garantiva le loro manutenzioni insomma,

Derbi non ti abbandonava mai ed in più, nella Spagna che voleva rinascere sotto ogni punto di vista, quelle tante vittorie in pista ti facevano sentire parte di un sogno. Quelli che in pista erano i successi di Angel Nieto in sella a las bolas rojas, le pallottole rosse, li leggevo su Motosprint la cui uscita in edicola aspettavo con ansia il mercoledì mattina. Tornando a quel viaggio che non doveva e non poteva essere soltanto di piacere, mentre da futuri periti elettronici il programma prevedeva una visita alla Pioneer, scendendo da un cavalcavia, davanti a me si stagliò all’improvviso un enorme 1 inserito in un altrettanto grande corona d’alloro sulla quale campeggiava la scritta Derbi, un globo stilizzato e la frase Campeon del Mondo.

Questa insegna era posizionata sul tetto dello storico stabilimento ed al solo vederla provai un’emozione unica. Mai avrei pensato di trovarmela davanti all’improvviso e, presumo, causa la sorpresa e l’emozione, ciò che pensai in quel momento mi accompagna ancora oggi: “Che sogno sarebbe un giorno poter lavorare qui e girare il mondo con la loro squadra per andare a correre nei gran premi!” Già, il sogno di un adolescente.

Alla fine del 1998, dopo che da una decina d’anni le Derbi avevano abbandonato le competizioni a seguito del progetto che prevedeva Ezio Gianola punta di diamante, Giampiero Sacchi, manager e team owner affermato, venne chiamato a riportarle in pista e lui porta con se tutto il suo gruppo di lavoro e quindi anche me che nel frattempo, una parte di quel sogno, lavorare nel mondo delle corse, avevo iniziato a viverlo.

Il reparto corse, la Derbi Racing, nasce proprio li sotto quell’insegna enorme, in un’ala dello stabilimento capace di produrre quasi 100.000 veicoli l’anno ed io, la prima volta che ci misi piede, non potei non ricordare ciò che solo qualche anno prima avevo sognato e che stavo vedendo realizzarsi, fotogramma dopo fotogramma di un film già visto. I primi tempi non furono semplicissimi perché per uno spagnolo, o meglio per un catalano, vedere degli stranieri profanare un luogo sacro come lo stabilimento di Martorelles non era né così scontato né cosi gradito ma poi, furono anni bellissimi. A guidare le nuove Derbi Pablo Nieto e Youichi Ui con l’arrivo l’anno seguente, era il 2000, di Manuel Poggiali.

La stagione del debutto mostrò delle difficoltà come d’altronde era normale ma il giapponese riuscì comunque a salire sul podio al termine del GP di Australia concludendo terzo. Nel 2001, con l’acquisizione da parte del Gruppo Piaggio della marca catalana, una delle moto di Martorelles venne griffata Gilera nell’ottica di un rilancio del marchio di Arcore. Il bilancio del triennio 2000-‘01-‘02 fu incredibile: Poggiali con la Gilera vinse un mondiale e finì una volta secondo, Ui con la Derbi fu due volte vice-campione.

Ma cosa c’entra tutto questo con il fatto che al posto di quello stabilimento adesso ci costruiranno un parcheggio per camion? C’entra eccome perché nel momento stesso che tutto questo accadeva, una ulteriore acquisizione da parte di Piaggio portò al suo interno anche Aprilia, e li, in quel preciso momento, il destino di Derbi cambiò per sempre. Quel marchio, cosi come quello Gilera, proprio perché vincente non piaceva molto ai vertici ed era ingombrante. A nulla valsero i mondiali di Marco Simoncelli prima o quelli di Mike di Meglio o Marc Marquez poi; la Derbi, al pari della Gilera appunto, o della Laverda altro logo bellissimo chiuso nella cassaforte Piaggio, non potevano e non dovevano offuscare quello Aprilia, il più amato da tutti e non soltanto in pista.

Quel giorno, quando la Piaggio comprò Aprilia, per un destino già scritto si decretò la morte di una Derbi che doveva essere consegnata all’oblio e, anche se ci vollero anni,  tutto si compì. Ecco perché quel parcheggio altro non è che l’ultima pagina di un libro. In un mondo dove al cuore si sostituisce sempre più la logica, sembra non esserci più posto per i sogni ed è un peccato.

Ma se non si può sognare, si ha però l’obbligo di non dimenticare: ricordate la famosa Aprilia RSA 125 GP dotata di ammissione mista disco-valvola lamellare sulla parte posteriore del cilindro che tante vittorie ha poi collezionato sino a quando la ottavo di litro non dovette lasciare spazio alla Moto3? Peccato che però fosse una Derbi.

Già, proprio cosi e per la prima volta scese in pista con Pablo Nieto nel 2005 in occasione delle prove del GP di Valencia.  Fu pensata, progettata, costruita li dove oggi si parcheggeranno dei camion e dove un giorno Re Juan Carlos I di Spagna, grande appassionato di moto, venne, ci strinse la mano a tutti e ci disse di essere orgogliosi di far parte di quella grande famiglia che era la Derbi.

Per me, li,  ci potranno anche parcheggiare dei camion ma a fargli ombra ci sarà sempre quell’enorme alloro con il numero 1, con il globo e con la scritta Campeon del Mundo.

Io il mio sogno l’ho vissuto, con orgoglio!

Condividi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *