Addio Nicky Hayden. Nessuno si immaginava quello che ti è successo, sicuramente nemmeno tu, che a Imola ti eri rialzato dopo essere scivolato in velocità con la tua Honda. Quello che è successo la settimana scorsa è un brutto incidente, che ha solo una colpa, quella di aver coinvolto due persone in una tragedia. Penso al ragazzo che si è rovinato la vita non vedendoti uscire da quella via secondaria e penso alla enorme perdita che tutto il mondo dello sport soffre per la tua morte.
Addio campione. Pilota “marziano” come lo sono stati gli americani del circus, Nicky era arrivato nel paddock – come ha detto Rossi – spaesato, ma cosciente di essere uno di quelli forti. Disponibile con la stampa, amichevole con tutti, non lo scrivo per piaggeria nei confronti di un campione appena deceduto, lo era davvero.
Era forte, tanto e la Honda lo aveva capito. Al fianco di Pedrosa era forse sottostimato dallo sponsor, ma non dai suoi avversari, tanto che, allo scontro finale sulla pista di Valencia nel 2006, Nicky si presentò preparato e non sbagliò il compito. Un tema difficile da scrivere, diceva: “Batti Valentino Rossi, se ci riesci”. Lui ci riuscì. Pianse in moto in un giro d’onore fantastico con la bandiera americana sulla spalla, e le lacrime che bagnavano l’altra. Era un miracolo per il motociclismo americano. Poi vennero gli anni con la Ducati, nei quali Hayden continuò a dare il suo massimo e il suo contributo come collaudatore. Sia con la Desmosedici che con la RCV, Nicky ha solcato i circuiti del mondo in interminabili test. Chilometri e gomme e benzina, per provare componenti e per sviluppare moto.
Un appassionato, un curioso, un atleta. Nella foto che vedete sopra, scattata solo lo scorso anno durante i test di Misano della SBK, Nicky si prestò a uno scatto con la mia vecchia VFR. Tutto nacque dalla sua curiosità per quella vecchia moto, che stava fuori dal box, era stupito dal fatto che dopo 30 anni il vecchio 4 a v giapponese ancora andasse e si prestò volentieri per celebrare il momento di una chiacchierata tra appassionati con un addetto ai lavori (io). Sui social in questi giorni, in tanti hanno postato selfie con Nicky. Beh era facile con lui. Non l’ho mai visto negare un autografo, una foto o una battuta a nessuno.
Racconto questo aneddoto e basta. A Donington lo scorso anno ero con Lorenzo Savadori, che aveva conquistato per la prima volta nella sua carriera la prima fila nella SP2. Lasciate le moto al parco chiuso, Hayden chiamò Lorenzo. Gli fece i complimenti perché aveva girato forte e lo incitò a continuare a spingere per fare meglio. Poi una stretta di mano, un sorriso, dei suoi, luminoso. Lorenzo per un attimo mi sembrò diventare un ragazzo che aveva incontrato un suo idolo, mentre il campione gli regalava dei consigli. Non succede spesso, Nicky invece era così.
Una bella persona, Nicky Hayden, circondato dall’affetto di una famiglia bellissima che non lo ha mai abbandonato, anche se era lontana e che nelle gare statunitensi ha sempre fatto sentire noi, giornalisti, meccanici e piloti, bene accetti dal clan Hayden.
Un peccato vero, un dolore per tutti. Non possiamo fare più nulla, le nostre preghiere non sono servite. Queste righe sono per chi rimane. Nicky era un campione limpido, una persona corretta, un appassionato, uno di quelli veri (come direbbe Marco Lucchinelli), uno di noi, che se n’è andato troppo presto.
Addio Nicky, che la pista lassù ti sia lieve.