Ci sono eventi che sono veri e propri terremoti all’interno dei team, un pilota che si fa male, un week end di gara dove i piloti distruggono le moto, ma nulla è come uno sponsor che leggi in cronaca per una vicenda giudiziaria.
Mi riferisco al pasticciaccio di Alma Lavoro Interinale, QUI il link all’articolo di La Repubblica in merito, che vede l’arresto a Napoli dell’imprenditore Luigi Scavone, preso in casa dalla Guardia di Finanza prima che partisse verso Dubai, sembra, con uno zaino pieno di contanti.
Scavone aveva fatto tutto bene. Imprenditore brillante, capace di avere successo portando a livelli altissimi la sua agenzia di lavoro interinale, scalzando in poco tempo la concorrenza. Filantropo, Scavone ha sponsorizzato, prima del Team Pramac e della squadra di basket di Trieste, anche la realizzazione di un nuovo padiglione dedicato a curare i bambini presso l’ospedale Cardarelli di Napoli. Carte in regola per chiunque che voglia fare affari. Ma Scavone è ambizioso, dopo il basket e la MotoGP da quest’anno è anche in Moto2 con i loghi di un’altra società di lavoro interinale, che ha rilevato, sulle carene della MV Agusta di Manzi e Aegerter. Non basta, a leggere le tante cronache che stanno fioccando, Scavone era abbagliato dal mondo dello spettacolo e forse, pensava addirittura di produrre un film.
La notizia dell’arresto di Scavone è sicuramente un brutto colpo per le squadre che hanno fondato la loro sussistenza in questa stagione sul suo contributo. Ma la questione merita una riflessione più ampia. Il motorsport non ha la visibilità del calcio, ma necessita di ingenti risorse per esistere. – Attenzione, questa vicenda è solo l’ultima di una serie molto lunga che non sto qui a elencare, non è un mistero che il paddock sia stato frequentato, e lo è tutt’ora, da personaggi quanto meno discutibili dal punto di vista della limpidezza finanziaria. – Moto, trasferte, piloti, meccanici e mezzi, hanno bisogno di passione e di denaro per seguire un calendario fitto di gare e di test in tutto il mondo. Reperire sponsor, dunque è vitale.
In passato la stessa Dorna organizzò dei workshop per i responsabili marketing delle scuderie, per formarli sulla ricerca e sulla gestione degli sponsor. Ma durò poco. Tutti preferivano gestire le cose alla propria maniera e quella iniziativa dell’organizzatore a molti era parsa come una ingerenza.
Il problema è che trovare sponsor munifici è sempre più difficile. L’era dei tabaccai, quella a cavallo tra gli anni 80 e la fine dei 90, è stata fantastica per il mondiale. I soldi arrivavano e più i produttori di sigarette si facevano la guerra, più le squadre avevano budget. Resi fuorilegge all’inizio dell’anno 2000 per l’esposizione dei marchi in TV e sui giornali, i tabaccai sparirono molto velocemente (quasi tutti, rimane ancora Phillip Morris su Ducati) e arrivarono a fatica i produttori di bibite energetiche. Due in particolare si stanno affrontando sul piano delle sponsorship e questo è chiaro non giova a tutto il paddock, che deve arrangiarsi per coprire costi alti e generare anche un profitto (se non fosse così, dove sarebbe il vantaggio?).
Purtroppo la MotoGP, nonostante lo spettacolo, non è competitiva in termini di visibilità e di convenienza nei confronti della Formula1. I due sport motoristici sono rispettivamente primo e secondo nel ranking del seguito da parte degli appassionati di motori, ma le quattro ruote hanno un vantaggio in termini di quantità di viewers rispetto alle moto e questo porta a una naturale propensione per gli sponsor “dalle spalle larghe” e dal portafoglio più gonfio, nel preferire le auto. In termini di investimento, mettere un adesivo su una F1 è molto più redditizio che fare da main sponsor in MotoGP. I budget sono diversi, ma il ritorno in termini di immagine e comunicazione non sono nemmeno paragonabili.
Mettiamoci nei panni di una grossa azienda, mettiamo di essere il capo del marketing e della comunicazione della immaginaria TELEWAY che fa telefonini e reti 7G e abbiamo un budget di 10 milioni di dollari per le sponsorizzazioni. Bene, 5 di questi vanno di sicuro per comparire sulla maglia della Carapullese Calcio che milita in serie A, poi 3 vanno agli eventi delle filiali, 1 alla mostra della tecnologia nel mondo e ne rimane 1 che vogliamo investire nel motorsport perché abbiamo capito che questa nicchia è in target con la nostra clientela di riferimento. Ora un milione è oro per un team di Moto2 e sono soldi buoni per un Team di MotoGP, mentre per un Team di F1 vale un adesivo di fianco all’alettone anteriore della MecFlaren. Nel ragionamento che farebbe una grande azienda c’è la rivendibilità dell’investimento alle filiali locali nel mondo, l’engagement che questo può generare, comprese le opportunità di business che possono venire fuori. A ragionamenti fatti, il paddock della F1 ospita a ogni gara una quantità di amministratori delegati e presidenti di aziende dal fatturato in centinaia di miliardi, che la MotoGP non può nemmeno lontanamente immaginare. Questo perché le moto sono ancora indietro rispetto al mondo delle quattro ruote per loro natura. L’auto è ancora un bene globale, capace di occupare spazi sui media, di condizionare le economie dei Paesi, mentre la moto è passione.
La passione non è redditizia per le grandi aziende, che preferiscono molto spesso lo storytelling del successo finanziario a quello personale dell’eroe pilota. Ora il nostro mondo l’eroe pilota lo ha ancora in sella, si chiama Valentino Rossi, ma questo – purtroppo – non vince un mondiale dal 2009. Marquez è carino e vincente, Lorenzo non sta bene e via tutti gli altri. La MotoGP ha preferito investire sui piloti, cercando di creare personaggi invece di creare il mito delle squadre che creano piloti di successo come accade nella F1. Il risultato è che la F1 attrae sponsor (a volte a costi competitivi), mentre la MotoGP a volte è costretta a prendere a bordo personaggi a termine. Un termine che viene dalle autorità giudiziarie ed è un peccato per chi con questo sport, oltre alla passione, porta avanti la sua vita. Ragioniamoci.